Le prospettive del servizio idrico integrato

Il programma del governo sull’acqua trae spunto dai risultati del referendum del 2011 sull’acqua pubblica, che sono stati oggetto di una pronuncia del Consiglio di Stato.

La qualità del servizio deve fare i conti con il nodo della remunerazione degli investimenti.

Il Consiglio di Stato, con decisione n.02481/2017, ha ribadito la piena validità del metodo tariffario con cui l’Autorità (AEEGSI, ora ARERA) nel 2012 ha definito i criteri per le tariffe del sistema idrico integrato.

I giudici amministrativi, respingendo i ricorsi avverso le sentenze del Tar che già avevano affermato la conformità della regolazione alla consultazione popolare del 2011, hanno definitivamente rigettato la tesi per cui l’Autorità, attraverso la propria regolazione tariffaria, avrebbe reintrodotto il criterio “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, eliminato in seguito al referendum.

La sentenza  ha ribadito che “Se si considera che l’approccio prudenziale adottato dall’AEEGSI nel definire i singoli parametri del sistema regolatorio, in particolare il diverso calcolo degli oneri fiscali nel settore idrico (rispetto a quello elettrico e gas), tiene conto delle specificità tecniche e normative che caratterizzano il SII, la metodologia tariffaria adottata dall’AEEGSI appare in linea con il dettato referendario e con il principio del cosiddetto full cost recovery, di per sé pienamente compatibile con l’esito del referendum, con conseguente infondatezza delle censure al riguardo mosse“.

In sintesi, secondo il supremo giudice amministrativo, ai sensi della normativa italiana ed europea attualmente in vigore, il servizio idrico è un servizio ‘a rilevanza economica’ e, dunque, anche per tale servizio vale la regola per cui tutti i costi devono essere coperti dalla tariffa secondo il principio del “full cost recovery”.

Gli interessi sul capitale proprio investito debbono essere pagati perché rientrano nel principio di totale copertura dei costi. Non vi può quindi essere alcuna attività a rilevanza economica che non includa nei propri conti il costo del capitale proprio investito e nessun referendum popolare può stabilire il contrario.

Secondo l’interpretazione del Consiglio di Stato,  il quesito referendario del 2011 è stato rispettato, perché la remunerazione del capitale investito è stabilita direttamente dai mercati finanziari e trasferita nella tariffa idrica attraverso la formulazione elaborata dall’AEEGSI, che garantisce agli utenti finali l’assenza duplicazioni e cioè la piena economicità del servizio.

Alcune forze politiche al governo ritengono che l’acqua sia un bene primario che deve tornare pubblico, come indicato dal Referendum del 2011, senza finalità di lucro e che la sua gestione debba essere partecipata dai cittadini, ovvero da aziende di diritto pubblico in considerazione dei bacini idrografici presenti sul territorio, spostando i costi di gestione del servizio idrico nella fiscalità regionale generale.

Un tema sul quale le perplessità leghiste sono evidenti. In vari comuni del nord gli amministratori leghisti sono in prima fila nella lotta contro quelli che chiamano “carrozzoni”, ossia società pubbliche che gestiscono l’acqua e che suscitano interrogativi « sui costi necessari a mantenerli, sul numero dei loro amministratori e sui loro requisiti».

Il Legislatore dovrà tenere conto delle specificità del settore, che richiede ingenti investimenti per il miglioramento delle reti, la riduzione delle perdite ed il potenziamento ed ottimizzazione degli impianti di potabilizzazione e depurazione, in presenza di forti limitazioni politiche rispetto all’adeguamento delle tariffe.

La certezza degli affidamenti e del quadro regolatorio, che ci auguriamo non debba venir meno, ha consentito e consentirà alle imprese del settore di approvvigionarsi dei capitali necessari a sostenere gli investimenti, data la scarsità di fondi pubblici per sostenere opere infrastrutturali.